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Psicologia dello sport: quando il vero motore è il cervello

Oltre l’istinto: la Formula 1 e l’arte di evitare le scorciatoie mentali

Scorciatoie mentali e di pista: in Formula 1 non esistono

Quante volte prendiamo decisioni in maniera veloce e immediata, soprattutto in situazioni di “emergenza”? Come ci dice la psicologia sociale, il nostro cervello lo fa in realtà praticamente sempre, è un muscolo alquanto “pigro” perché cerca di effettuare operazioni col minimo sforzo.

Nel caso delle decisioni da prendere in frazioni di secondo parliamo di bias e ancor più specificatamente di euristiche. Questi due elementi, spiegati brevemente, sono scorciatoie che il nostro cervello usa per formulare pensieri e prendere decisioni, che a loro volta impattano sulla vita di tutti i giorni. I bias inducono in errore perché dipendono da ideologie e pregiudizi, le euristiche invece, si basano sull’ intuizione.

Ci sono casi però dove le scorciatoie non sono ammesse: uno di questi è in pista, sia in senso stretto sul tracciato, in base al regolamento, che a livello cognitivo quando si guidano monoposto da 1000 e passa cavalli di potenza.

La visualizzazione mentale del circuito e il simulatore

I piloti di Formula Uno usano diverse tecniche psicologiche per allenare la mente ai diversi tracciati e al come affrontarli in base alle loro caratteristiche, oltre che per mantenere i nervi saldi, gestire la calma e l’adrenalina, tutti fattori che concorrono a generare la pressione durante una gara.

Quando parliamo di tecniche per allenare la mente a un determinato circuito facciamo riferimento a esercizi che permettono di “ripetere” le varie curve, come “disegnarle”, quali marce utilizzare e in quale curva, se toccare di più o meno il cordolo in alcuni punti, calcolare quanto spazio si ha a disposizione per un sorpasso, i comandi da cambiare sul volante, quando attivare il drs e via discorrendo, il tutto visualizzando un giro ipotetico.

Stiamo parlando della “visualizzazione mentale”, tecnica del mental training sportivo che viene rappresentata anche in una scena del famoso film “Rush”, con questa tecnica si va a lavorare anche sulla forza e resistenza fisica, alcuni esercizi mentali che stimolano determinate aree celebrali aiutano infatti a migliorare la performance sportiva, questo perché corpo e mente sono strettamente collegati.

Riguardo al mental training sportivo, abbiamo parlato di quanto il nostro cervello per natura sia un muscolo pigro ma non nel caso dei piloti di Formula Uno, vari studi hanno dimostrato che c’è un massivo utilizzo celebrale con diverse aree corticali che si attivano contemporaneamente a causa del controllo motorio e dell’attenzione nel comportamento di guida, oltre a quelle comuni come la vista.

Ciò che però fa davvero la differenza è l’intensità e la frequenza che interessano l’attività celebrale rispetto alla norma, in più tali frequenze variano in base al tipo di circuito che ci si ritrova davanti.

Interessante è stato l’esperimento fatto dalla Oracle Red Bull Racing che ha mostrato ai tifosi come reagisce il cervello dei piloti durante una delle gare più impegnative a livello fisico e mentale del calendario, Marina Bay di Singapore.

Max Verstappen
Credits: Batchelor / XPB Images

Dall’esperimento fatto con Checo Pérez messo alla guida del simulatore, che già normalmente si usa per gli allenamenti e i test, si è evinto che il suo cervello avesse una risposta cognitiva maggiore nelle curve dove c’è un raggio visivo limitato e che la richiesta cognitiva fosse a sua volta molto alta nonostante Marina Bay sia un circuito di bassa velocità, perché tale caratteristica implica una presenza prevalente di corner da fare in maniera impeccabile che si unisce alla presenza, poi, di numerosi bumps. Lo scanner inoltre ha segnalato picchi di up e down durante la fase di accelerazione e frenata, in linea coi movimenti del corpo.

checo marina bay scan

Il neuroscienziato Shlomi Haar che ha guidato l’esperimento ha inoltre dichiarato che i piloti hanno una percezione del tempo inferiore rispetto a chi guarda dall’esterno le gare, ciò aumenta la difficoltà delle decisioni da prendere in un raggio di tempo estremamente ridotto.

Ecco quindi perché ai piloti vengono effettuati spesso degli scanner celebrali, ma soprattutto ecco perché allenamenti come la visualizzazione sono essenziali per loro nel mantenere una buona concentrazione.

Le emozioni che alimentano il motore

Risultano cruciali anche le emozioni, che vanno “allenate” in parallelo attraverso la comunicazione tra pilota e team e con il supporto della figura dello psicologo sportivo.

Quando parliamo di rabbia, tensione e panico la maggior parte di noi pensa siano emozioni del tutto negative, anche i piloti, in realtà però l’importanza di una figura come quella dello psicologo sportivo sta proprio nel guidare verso una prospettiva diversa di tali emozioni. Ad esempio la rabbia non è per forza negativa, in casi specialmente come le gare, ma anche in qualsiasi altro tipo di competizione, può essere invece alleata nel fare meglio e raggiungere gli obiettivi prefissati, se si impara a conoscerla.

Conoscere questo tipo di emozioni è diverso dal controllarle, nessuna emozione può essere controllata, nemmeno lontanamente e il lavoro che quindi viene svolto con i piloti è quello di aiutarli a conoscere certe emozioni per far sì che possano non vederle come un qualcosa che agevola l’avversario, risulta così solo quando non si conosce ciò che si sta provando cadendo poi quindi nella trappola del nemico, ma di vederle invece come una risorsa personale.

Per un pilota è il doppio più difficile rispetto a una persona comune, le paure, le ansie e la rabbia che possono scaturire da situazioni di vita privata tanto quanto dall’ambiente di lavoro, hanno conseguenze anche su quest’ultimo come per chiunque, però a differenza di altri lavori il loro è uno di quelli che non ammette nessuna “distrazione” a costo della vita.

La comunicazione a tal proposito è molto importante, è lo strumento ideale per far comprendere che spesso ci sono paure infondate, che ci bloccano erroneamente, un po’ come accade con le idee che ci facciamo attraverso bias e euristiche. Quindi l’obiettivo anche con la paura, invece, è far comprendere al pilota che questa è fisiologica e che spesso ci mette in guardia da situazioni di reale pericolo, in altre circostanze però è semplicemente qualcosa che abbiamo percepito in maniera troppo esagerata e saper distinguere certi scenari è essenziale.

Un lavoro simile viene fatto anche riguardo le emozioni positive ovviamente, ma soprattutto con i piloti che subiscono incidenti, la ripresa è frutto della volontà personale secondo molti, ma sono implicati in realtà anche fattori psicologici che dipendono dalla gravità dell’incidente e dalle lesioni subite.

Riguardo queste ultime, infatti, oltre a una ripresa fisica impegnativa possono scaturire meccanismi psicologici diversi nei confronti dei possibili cambiamenti fisici e conseguentemente poi anche della resilienza che porta alla ripresa, con la necessità di intervenire su aspetti diversi.

Articolo scritto da Iolanda Cozzolino

Cresciuta tra il profumo di benzina e l'essenza dei motori. Studentessa di Sociologia e comunicazione, per tutti "casco matto"

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