Partiamo dal presupposto che questa è una battaglia persa. Persa perché sono troppo “piccolo” per discuterne, perché troppo debole per entrare nel interessante mondo delle influenze virtuali, perché il circo è partito e non si torna indietro.
Si discute da settimana su temi di sostenibilità e sviluppo del calcio d’élite con logiche che sembrano contrastarsi come le prospettive aziendali e l’impatto sociale e culturale della disciplina sportiva.
Una contraddizione apparente per interessi perché il matrimonio in epoche differenti e con protagonisti diversi è esistito ma qualcosa ha rotto un equilibrio che poteva soddisfare tutti.
Le Squadre che diventano Club, i Club che si strutturano come Aziende, le Aziende che cercano il profitto.
Il Tifoso che viene sostituito dallo Spettatore, lo spettatore che si trasforma in Fan, il Fan che si fa Follower.
Uno sviluppo di mondi non simultaneo, la stessa strada percorsa che si è tramutata in rincorsa. I primi che cacciano i secondi, le Aziende che vogliono adattare il contenuto al mercato.
Lo Sport che diventa mercato.
E quando lo sport diventa tale, dove le regole le scrivono pochi, la vittoria oltre il campo viene prima del campo stesso.
Tempo fa ho parlato del Tifoso che schiacciato dalla realtà diventa globale e virtuale, un processo che ha cambiato i consumi e le esigenze coinvolgendo anche uno degli elementi che contraddistinguono la civiltà europea, il Calcio. La gradinata vuole essere sostituita dallo schermo, la partita dagli highlights, la squadra dal singolo.
Fino a qui ci troviamo di fronte ad un concetto di Messier de la La Palice.
Ora però voglio capire se esiste una scelta. Se si può contrastare un fenomeno o solo vederlo scorrere.
Se si può uscire dalla semplice sociologia come base delle scelte dei pochi.
Perché se ci soffermiamo solo sull’analisi attuale, allora la Superlega è necessaria, gli stadi possono continuare ad essere vuoti, il sistema sarà sostenibile se solo il prodotto cambierà verso le esigenze del utente.
Un utente che si rompe le balle davanti a Udinese-Reggina e che vuole vedere solo poche azioni spettacolari di Real-PSG con i Globe-trotter in campo.
Ma il Calcio non è un prodotto qualunque.
È un prodotto che si è dimostrato vincente nella sua essenza, nella sua forma, che nel tempo ha avuto bisogno di piccoli aggiustamenti ma non di sostanziali modifiche.
Piace, è sempre piaciuto nella sua semplicità e questa efficacia è il suo segreto.
Il calcio come sport, nelle sue 17 regole al servizio di nessuno ma solo di se stesso.
Gli altri che lo sposano e non lui che deve vendersi.
Il Calcio che viene descritto come prodotto inizia a regolare il suo contenuto per chi non lo segue o lo segue solo in parte.
Il calcio come contenuto è deterritorializzato, unico, deciso dalla regia.
Ma poco prospettico.
Perché domani dovrà rincorrere nuovi strumenti, nuove mode, nuovi orizzonti tecnologici omologandosi a prodotti estemporanei come una serie tv.
Allora perché non ci chiediamo se questa rotta ci piace o no, se è quella che vogliamo seguire e navigare oppure cercare di modificare. Non si può invertire e non sarebbe nemmeno giusto ma si possono fermare gli eccessi e trovare la strada mediana che garantisce il futuro.
Quella che contiene i costi garantendo la globalità, quella che ferma le procure e dà lustro ai territori, quella che non ha colori ma si identifica nei colori, che mette il singolo al servizio del gruppo e che rende importante ciò che c’è davanti e non cosa c’è scritto dietro.
So di aver già perso, so che non è una battaglia da combattere, ma se mai sarà almeno ognuno di noi saprà di averlo fatto con onore.