Juan Pablo Montoya è riconosciuto ancora oggi da tanti come il nemico di Michael Schumacher, colui che è stato “soltanto” vicino al titolo mondiale per due volte di fila, però quello che in pochi conoscono è la versatilità del pilota colombiano. Un po’ come il cuore che si acclimata alle altezze, è l’ abilità che rende la sua carriera ampia, ricca di momenti storici e testimonianza che un titolo mondiale non è requisito necessario per determinare un campione.
Il rookie vincente
Juan Pablo Montoya nasce a Bogotá, la famiglia, soprattutto il padre, impegna tutto ciò che possiede per far in modo che la carriera del ragazzo possa trovare una svolta, quasi addirittura ipotecando la casa a fine anni ’90. Ma Juan Pablo ripaga tutti i sacrifici fatti sin da subito, partendo dalla categoria kart a cinque anni, diventando campione nazionale nella sua fascia d’età a sei. A quindici si trasferisce insieme al padre in Europa, in Italia partecipa al mondiale kart junior e negli anni seguenti prende parte alla Formula Renault in Colombia, vince la 6h di Bogotá con tanto di record di pista e il titolo nella Formula N messicana.
Un curriculum da campione nel mondo, eppure Juan Pablo, dopo aver partecipato nel 1997 alla F3000 col team di Helmut Marko, vincendo il titolo nel 1998, non riesce comunque a trovare spazio nella categoria regina tanto ambita, la Formula Uno. Come lui stesso dice, la Formula Uno è tutta questione di timing, devi essere lì al momento giusto. Infatti, dopo il suo lavoro in F3000 viene scelto dalla Williams per effettuare un test su pista con la monoposto, ma nonostante la scuderia britannica resti ulteriormente estasiata dal giovane colombiano, ha altri piani per l’anno successivo, ovvero Alex Zanardi.
Juan Pablo però vuole correre e così decide di continuare il percorso, testardamente come suo solito, aprendosi nuove porte. Arriva negli Stati Uniti nella serie CART e prende il posto proprio di Alex Zanardi, due volte campione, nel team Chip Ganassi. Juan Pablo disputa una stagione emblematica battagliando con Franchitti e guadagnandosi il titolo assieme al “Rookie of the year”. Nel 2000 la scuderia partecipa alla storica 500 miglia di Indianapolis, per la categoria IndyCar, e anche lì Juan Pablo è un rookie. Il colombiano qualifica secondo, su trentatré vetture in pista. Alla partenza, tra safety car e incidenti, se la gioca con Ray e prende il primo posto poco dopo, tenendo la testa della gara per ben quasi 170 dei 200 giri.
La chiamata di Frank Williams
La scuderia britannica, dopo due anni discreti di Formula Uno, prima con la coppia Zanardi-Ralf Schumacher e poi con Button al posto dell’italiano, decide che il tempo di Montoya fosse arrivato. Così lo ingaggia per la stagione 2001, fortemente voluto dal fondatore del team, Frank Williams, che lo porterà sotto la sua ala fino alla fine. Juan Pablo debutta con una Williams motorizzata, per il primo anno, da BMW. Nonostante i problemi al motore molto frequenti, colleziona tre pole: in Germania, in Belgio e in Italia, dove ottiene anche la prima vittoria in F1 con un pit stop soltanto, resistendo a Michael Schumacher, al fratello suo compagno di squadra e a Rubens Barrichello.
In realtà, non fu però quella prima vittoria il biglietto da visita per il mondo europeo nella categoria regina. Ancor prima va menzionato il Gran Premio del Brasile di quell’anno. Anche lì, il colombiano sfida il più temuto della griglia, Michael Schumacher, senza alcun timore, sicuro delle sue capacità, azzarda un sorpasso storico e perfetto che lo mette in testa alla gara dalla quarta posizione. Ci resta fino al giro trentanove, quando un contatto sfortunato causato da Jos Verstappen, doppiato, lo costringe al ritiro. Alla terza gara del mondiale, l’Europa aveva già ben chiaro chi fosse quel rookie di nome, ma non di fatto.
La svolta in Williams e l’approdo in McLaren
Juan Pablo Montoya resta in Williams dal 2001 al 2004, mostrando sempre la caratteristica che lo distingue da tutti: la sua sportiva e spavalda aggressività, che risulta l’unico mezzo vincente, anche quando non si ha un motore da prima forza assoluta in griglia. In quattro anni con la scuderia britannica colleziona quattro vittorie complessive: Monaco, Monza, Brasile e Germania, chiudendo terzo nel mondiale 2002 e 2003.
Dalla stagione successiva diviene pilota McLaren al fianco di Kimi Raikkonen. Quella sua caratteristica risulta decisiva più che mai questa volta, con una macchina che già ai test non lo aveva entusiasmato. Ma soprattutto con la stampa inglese che lo paragona continuamente al compagno, dovendosi riscattare più volte. Questo però perché lo voleva lui, ancor prima che per la pressione mediatica. Nel 2005, infatti, proprio quando le speculazioni sono al picco massimo, il colombiano sferra l’attacco di spavalderia da sopravvivenza e vince a Silverstone con una gara senza sbavature, arrivando davanti al compagno Kimi Raikkonen, nonostante la rimonta di quest’ultimo post penalità in griglia per alcuni cambi. Lo stesso anno conquista anche la seconda vittoria sia a Interlagos che a Monza, chiudendo quarto nel mondiale. Lascia la categoria a testa alta, allo stesso modo di come aveva debuttato.
L’ascesa in NASCAR e il ritorno in IndyCar
L’anno seguente Montoya decide di cambiare aria, soprattutto per la politica tiranna della Formula Uno, e fa ritorno negli Stati Uniti, nel campionato nazionale NASCAR. Già alla prima prova con le auto stock della categoria, al Talladega Superspeedway, ottiene un terzo posto. Dopo diverse gare della Busch Series arriva la prima vittoria in questo mondo, sul circuito di Città del Messico nel 2007, dove rimonta per diciotto posizioni.
Nei suoi quasi dieci anni di attività, corre con lo storico team Ganassi vincendo nel 2007 la gara di Sonoma partendo trentaduesimo, e un altro “Rookie of the year”. Lo stesso anno conquista anche la 24h di Daytona, non sarà l’unica volta, ma la prima di tre.
Ritorno in IndyCar e altri successi
Nel 2014 Juan Pablo decide di mettere alla prova ancora una volta la sua versatilità. Così ritorna nel campionato IndyCar con il team Penske, quell’anno chiude quarto e con una vittoria a Pocono. L’anno seguente vince per la seconda volta la storica 500 miglia di Indianapolis, in lotta per il titolo con Scott Dixon a pari punti, ma con una vittoria in meno. Anche nel 2016 resta contendente per buona parte della stagione.
Indianapolis 2015: solo i campioni si rialzano
La gara a Indianapolis del 2015 è una delle gare più emblematiche del pilota colombiano. Le rimonte sono la vera essenza del campione, dove la fortuna è solo una piccola parte di tutto quello che ne costituisce una. L’esempio più lampante è quella di Senna a Suzuka nel 1988, gara che gli consegna inoltre il titolo mondiale. Anche Juan Pablo Montoya, che quest’essenza ce l’ha nel sangue, quel giorno sul circuito dell’Indiana fa la storia. Parte quindicesimo nella metà della griglia. Alla partenza, con una bandiera gialla quasi immediata per un incidente, è costretto alla sosta ai box per un contatto subito che danneggia il passaruota posteriore della sua vettura.
Rientrato in pista però scivola all’ultimo posto, ancora sotto regime di caution per ripulire dai detriti fino al giro n.13. Durante la prima metà di gara quel pit stop prematuro lo agevola e rimonta in testa, fino a quando Dixon ritorna primo con il secondo stop di Montoya.
Nella seconda metà della gara si ripresenta la bandiera gialla e il compagno di team del colombiano, Pagenaud, si ferma per primo e prende poi il comando scambiando la posizione in una bagarre con Kanaan e Dixon. Superato il 100esimo giro, viene disposta di nuovo bandiera gialla e nei pit stop succede un ulteriore incidente. Il finale è da brividi e cardiopalma, il colombiano con il suo spirito da “ganador” sorpassa definitivamente Power sulla destra, vincendo per la seconda volta una delle gare più storiche negli USA.
L’intera carriera di Juan Pablo Montoya è prova della geniale versatilità che rende un pilota davvero campione, ancor più di un titolo mondiale. La gara di Indianapolis riassume questa carriera fatta di continue sfide e altrettante soddisfazioni, frutto dello spirito di adattamento innato.
Juan Pablo Montoya è l’eccezione, il campione nel mondo, non del mondo.