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Four Falls of Buffalo

I Buffalo Bills, le “cascate” e i quattro Super Bowl consecutivi

“Non c’è niente di meglio che vincere al Super Bowl…

…Non c’è niente di peggio che perdere al Super Bowl”

Non c’è bisogno di allontanarsi troppo da Buffalo per trovare una metafora migliore per descrivere la prima metà degli anni ’90 dei Bills, franchigia della National Football League con sede nella cittadina dello stato di New York. Sono estremamente convinto che tutti conoscano le famosissime cascate del Niagara, che delimitano il confine tra l’Ontario, provincia canadese, e lo stato di New York. Famose per la loro maestosità e bellezza, le tre grandi cascate sorgono a sole 17 miglia – circa 27 km – dalla città di Buffalo. Nel corso di questa storia che ho deciso di raccontarvi, la prima di una rubrica dal titolo molto banale “Storie americane di football”, non solo capirete molto bene il significato di questa metafora, ma anche di accettare in maniera onorevole le sconfitte che la vita ci sbatte sul muso.

cascate del niagara

Buffalo e i Bills

Chiariamoci, Buffalo non è una città turistica, non offre nulla di interessante e gli inverni gelidi concedono solo pesanti bufere di neve e temperature che raramente superano la soglia dello zero. Al draft NFL del 1983, uno tra quelli più pieni di talento della storia, i Buffalo Bills hanno la quattordicesima chiamata e scelgono un quarterback proveniente dall’Università di Miami, Jim Kelly.

Kelly ha successivamente dichiarato di essersi messo a piangere: aveva scelto Miami come college perché odiava il freddo, aveva espressamente chiesto al suo agente di evitare che venisse scelto dai Bills, ma anche dai Green Bay Packers e dai Minnesota Vikings. Tutte franchigie con sede in posti molto freddi durante l’inverno. Perciò Kelly decide di andare a giocare in USFL, una lega di football americano professionistica che si svolge nel periodo primaverile ed estivo, quando la NFL è ferma. È il quarterback titolare degli Houston Gamblers (già il nome…) e nel 1985 guida la sua squadra alla vittoria contro i Los Angeles Express, guidati da un giovanissimo Steve Young, futuro campione NFL con i San Francisco 49ers. Viene ricordata come la partita di football più bella ed emozionate che non è stata trasmessa da alcuna emittente televisiva del Paese.

Nel 1986 l’USFL fallisce e Kelly è “costretto” a giocare per i Buffalo Bills ed accettare il fatto che giocare sotto la neve dovrà diventare un’abitudine. L’anno precedente i Bills hanno scelto al quarto giro del draft, all’ottantaseiesima scelta, il wide receiver Andre Reed, proveniente da Kutztown University, che formerà con Kelly una delle coppie quarterback-wide receiver più prolifiche della storia dell’NFL. Nello stesso draft i Bills hanno anche la prima scelta assoluta e gli occhi della dirigenza cadono su Bruce Smith, defensive end reduce da quattro stagioni a Virginia Tech, che diventerà il perno della difesa dei Bills, verrà inserito nella Pro Football Hall of Fame e ricordato come uno dei migliori difensori di sempre.

Mentre al draft del 1988 scelgono alla prima chiamata del secondo giro, quarantesima assoluta, Thurman Thomas, running back che ha giocato a Oklahoma State University ed è pronto a sfondare tra i professionisti. Per farvi inquadrare meglio la città di Buffalo prenderò Thomas come esempio, il quale ha dichiarato di essere molto contento di essere stato scelto dai Bills: Buffalo, secondo lui, significa New York, quindi Times Square, grattacieli e uno skyline meraviglioso. Purtroppo o per fortuna Thomas è stato informato troppo tardi: Buffalo non ha niente a che fare con New York City, non c’è nessun grattacielo, nessun’attrazione turistica, se non le Cascate del Niagara che però non sono a Buffalo, e soprattutto nevica da novembre a marzo.

A nessuno, alla fine degli anni 80, viene in mente un lato positivo per Buffalo o Western New York, se non la squadra locale di football, i Bills, che però non portano un titolo in città dagli anni 60, prima della reazione del Super Bowl, e avevano solamente ottenuto celebrità nel Paese nella decade precedente, quando c’era in squadra il running back più forte di tutti i tempi, O.J. Simpson, successivamente diventato famoso anche per chi non si intende di palla ovale per altri motivi (…).

A Buffalo gli abitanti hanno bisogno di una scossa che non può non arrivare dai Bills.

No-Huddle Formation e The “Bickering” Bills

Dopo il collasso della USFL, non solo Jim Kelly si era aggiunto ai Bills, ma anche un nuovo head-coach proveniente dai “defunti” Chicago Blitz, Marv Levy. In attacco, con il trio delle meraviglie formato Kelly-Thomas-Reed, Levy per la stagione 1990 opta per una No-Huddle Formation.

Per chi non conoscesse bene il football, l’huddle è il raggruppamento dei giocatori offensivi che si riuniscono agli ordini del quarterback per decidere il prossimo schema d’attacco. I Bills decidono di evitare di fare huddle allo scopo di non far preparare adeguatamente la difesa avversaria e attaccarla subito senza aspettare tra un’azione e l’altra. La formazione principalmente utilizzata da Levy durante gli attacchi No-Huddle è denominata Shotgun formation, letteralmente formazione a fucile. Essa prevede che il quarterback riceva lo snap dal centro qualche yard più lontano del normale per avere più tempo per lanciare ai ricevitori, almeno tre nel caso della Shotgun, la quale può prevedere anche una corsa da parte del running back per spiazzare la difesa che si aspetta un passaggio.

Gli elementi non mancano a Marv Levy, che ha un quarterback di primo livello, con il running back e il suo primo ricevitore a completare un attacco formidabile, soprannominato K-Gun Offense, con la lettera “k” che sta sia per “killer” sia per “Kelly”. Inoltre ha una difesa rocciosa guidata dal temutissimo Bruce Smith, il miglior defensive end dell’intera lega.

Levy però deve tenere conto di una cosa che ha trascurato nella stagione precedente e che è fondamentale in una squadra di football americano: il gruppo. I giocatori, come Kelly, Smith e Thomas, che si professano leader della squadra hanno un ego smisurato, come può essere normale per un professionista ancora acerbo, e ogni occasione è buona per litigare o per colpevolizzare un componente della squadra. Nel 1989 Levy non ha il controllo dei suoi uomini più importanti e per la prima volta Vic Carucci, editorialista di Buffalo News, conia sul quotidiano in cui scrive un’espressione destinata a passare alla storia: The Bickering Bills, i “litigiosi” Bills.

Kelly, ogni volta che viene placcato, non esita a incolpare la sua linea offensiva, quella che dovrebbe proteggerlo, e non esita neanche a rimproverare pubblicamente i suoi wide receiver, secondo lui incapaci di ricevere i suoi lanci. Thurman Thomas non è da meno e risponde per le rime alle critiche del quarterback dichiarando che i Bills hanno solo un problema, ovvero la bocca di Jim Kelly. Il clima nel 1989 è tesissimo e Bill Polian, il general manager dei Bills, organizza una conferenza stampa in cui i due diretti interessati chiariscono la loro posizione prendendo le distanze da quanto detto in precedenza.

Non basta però, perché i Bills nel 1989, nonostante un’ottima stagione regolare conclusa al primo posto nella propria divisione, vengono eliminati al Divisional Round (il primo turno dei playoff) dai Cleveland Browns, dati per sfavoriti prima dell’inizio della partita. Levy, Kelly e Thomas capiscono che non si può continuare così e se si vuole arrivare fino in fondo i Bills hanno bisogno di stare uniti e lasciar perdere i litigi da prima donna.

Fall 1990

Come detto prima, viste le difficoltà riscontrate nel 1989, Levy decide che la No-Huddle Offense sarà il perno dell’attacco dei Buffalo Bills per la stagione 1990. Questa formazione è ideale per un quarterback veloce come Jim Kelly, uno che capisce prima tutti i movimenti sia degli avversari in difesa che dei suoi compagni in attacco. Bisogna poi aggiungere che avere Andre Reed, James Lofton e Keith McKeller come ricevitori davanti e Thurman Thomas come running back dietro è un aiuto non da poco, ma Kelly ha talento, vuole essere un leader per questa squadra e soprattutto vuole vincere.

Infatti la stagione regolare è un trionfo: 13 vittorie su sedici partite, primo posto nella conference e miglior attacco dell’intera lega. Non si parla più di Bickering Bills, ma di “Blissful Bills”, tradotto letteralmente in “Beati” Bills. I giocatori sono finalmente maturati, è tutt’un altro mondo rispetto alla stagione precedente in cui litigavano davanti ai media e al pubblico. Questa volta i Bills superano il primo turno di playoff, sconfiggendo i Miami Dolphins e l’ultimo ostacolo per arrivare al Super Bowl sono i Los Angeles Raiders. L’AFC Championship Game 1990 stabilisce chi tra Bills e Raiders giocherà il Super Bowl XXV, previsto a Tampa Bay, Florida.

Quella domenica fa freddissimo e una bufera di neve si abbatte sul Rich Stadium di Buffalo, i Bills sono abituati, i Raiders meno. Marcus Allen, running back dei Raiders e uno dei più forti della storia, gioca una delle sue peggiori partite: la difesa dei Bills è perfetta, così come l’attacco guidato da Kelly. Il punteggio finale racconta di un massacro ed effettivamente lo è stato: 51-3 per i Buffalo Bills che volano per la prima volta nella loro storia al Super Bowl, che si gioca a Tampa, città con un clima più clemente, per usare un eufemismo, di Buffalo.

A sorpresa gli avversari dei Bills al Super Bowl sono i New York Giants, che hanno battuto nella finale della NFC e favoritissimi San Francisco 49ers di Joe Montana e Jerry Rice, vincitori degli ultimi due Super Bowl e con l’occasione di realizzare il primo three-peat della storia. Ma i Giants hanno idee diverse e guidati dal linebacker Lawrence Taylor, considerato il miglior difensore di sempre, e dal quarterback di riserva Jeff Hostetler, subentrato nel corso della stagione al titolare Phil Simms, volano in Florida.

Il Super Bowl XXV entra nella storia già prima dell’inizio della partita: Star-Spangled Banner, l’inno nazionale, è cantato splendidamente da Whitney Houston per celebrare le forze armate statunitensi impegnate nella prima guerra del Golfo e Tampa è presidiata dall’esercito con la paura di attacchi terroristici.

La chiave della partita per i New York Giants è limitare l’attacco dei Bills e il defensive coordinator dei Giants Bill Belichick, poi diventato head coach dei New England Patriots, si è concentrato sul bloccare sia gli schemi di lancio di Kelly che le corse di Thomas, limitando il numero di possessi per i Bills e costringendoli a cambiare schema ogni azione. La strategia sembra funzionare, i Giants sono sfavoriti e possono solo vincerla in difesa. All’Halftime il punteggio dice 12-10 per i Bills e i Giants stanno ottenendo quello che vogliono. Al terzo quarto New York passa in vantaggio grazie a un touchdown del running back Ottis Anderson: 17-12. Dopo un paio di attacchi falliti da entrambi i lati, all’inizio di terzo quarto un altro running back va a segno, ma questa volta è Thomas e il punteggio si è di nuovo ribaltato: 19-17 Bills. Ma Hostetler guida magistralmente il drive successivo per i Giants, portandoli nel raggio del field goal (il calcio tra i pali che vale tre punti): il kicker Matt Bahr non sbaglia e segna il 20-19 per i New York Giants con sette minuti da giocare.

L’attacco successivo dei Bills fallisce e i Giants hanno di nuovo il pallone per gestire il tempo, però dopo tre down sono costretti dalla difesa di Buffalo al punt, anche per allontanare l’inizio dell’attacco dei Bills a due minuti dal termine. Jim Kelly e compagni hanno esattamente 120 secondi per arrivare sulle 40 yard avversarie e calciare il field goal della vittoria.

Il drive di Kelly è veloce e quando mancano cinque secondi i Bills hanno raggiunto la linea delle 37 yard avversarie: tutto ciò significa che il field goal sarà esattamente di 47 yard, difficile ma non impossibile a quel livello.

Il kicker di Buffalo è Scott Norwood, gioca ai Bills dal 1985 e ha sul suo piede destro il primo Vince Lombardi Trophy della storia dei Buffalo Bills. C’è lo snap lungo di Adam Lingner, Frank Reich posiziona la palla sul terreno, Norwood prende la rincorsa e calcia.

“Wide Right”

È il primo commento del telecronista dell’ABC Al Michaels: troppo a destra. Il calcio è sbagliato, fuori dai pali. I New York Giants hanno vinto il Super Bowl XXV 20-19.

È pesante per Buffalo, per Kelly, per Levy, ma soprattutto per Norwood che quella serata ventosa e calda in Florida la risognerà parecchie volte. Molti pensano che la causa del calcio sbagliato fosse il vento causato dall’elicottero dell’esercito che ha sorvolato sopra lo stadio e potrebbe essere, ma non ci si può fare nulla, anche perchè il kicker dei Giants Bahr aveva segnato precedentemente con l’elicottero.

Al ritorno da Tampa una folla enorme aspetta i Bills a Buffalo e i tifosi chiamano a gran voce il nome di Scott Norwood: vogliono fargli sapere che continueranno a supportarlo e chiedono che prenda la parola. Scott, con le lacrime agli occhi, si scusa, li ringrazia e dichiara la prossima stagione sarà in campo, perché il sole sorge ogni giorno.

Fall 1991

I Buffalo Bills sono arrivati all’inizio della stagione 1991 con una maturità diversa rispetto all’anno precedente. Erano arrivati a pochi piedi dal loro primo Super Bowl e ora sanno che possono davvero vincere. Infatti come la stagione precedente i Bills chiudono la regular season con un record di 13 vinte e tre perse.

Al Championship Game dell’AFC gli sfidanti sono i Denver Broncos di John Elway, quarterback prima scelta assoluta del draft 1983, lo stesso di Jim Kelly e uno dei giocatori più talentuosi dell’intera lega. Si sfidano due tra i migliori attacchi della NFL, ma a dominare la partita sono le difese: all’inizio del quarto e ultimo periodo i Bills sono in vantaggio 7-0, con un solo touchdown segnato dalla difesa grazie a un intercetto di Carlton Bailey ai danni di Elway.

A quattro minuti dal termine la partita è ancora inchiodata sul 7-0 e i Bills vogliono assicurarsi la vittoria: arrivano alle 34 yard dei Broncos al quarto down e sono costretti al field goal. Ed ecco che entra colui che più di tutti ha sofferto al termine della stagione precedente. Scott Norwood calcia, questa volta tra i pali: 10-0 e vittoria assicurata per i Buffalo Bills che tornano al Super Bowl per il secondo anno consecutivo.

Il Super Bowl XXVI ha sede a Minneapolis, dove le temperature sono molto simili a quelle di Buffalo. A sfidare i Bills questa volta sono i Washington Redskins del quarterback Mark Rypien, alla sua prima stagione da titolare, protetto da una solidissima linea offensiva e coadiuvato da Art Monk, uno dei migliori wide receiver della lega, che hanno battuto i Detroit Lions alla finale della NFC.

La partita si indirizza subito: i Bills sono bloccati in attacco mentre i Redskins fanno quello che vogliono e all’intervallo sono in vantaggio 17-0. Nel football è senza dubbio uno svantaggio recuperabile, tuttavia Washington continua a martellare, segna il touchdown che vale il 24-0 e Buffalo non si riprende più. La partita si chiude 37-24 per i Redskins, con i Bills che hanno ingranato troppo tardi e Rypien viene nominato MVP della partita.

La delusione non è cocente come l’anno prima, ma la batosta c’è stata e i Bills devono rialzarsi in fretta se vogliono davvero provare a vincere.

Fall 1992

All’inizio della stagione 1992 chiunque pensi che i Bills non possano vincere si sbaglia di grosso, anche se in regular season non vincono le stesse partite delle due annate precedenti. Questa volta devono passare dal turno Wild Card.

Le cose si mettono male: all’ultima partita di regular season a Houston Jim Kelly subisce un infortunio al ginocchio ed è costretto a lasciare il campo a Frank Reich, quarterback di riserva di Kelly dal 1985.

Nel turno Wild Card i Bills se la vedono proprio con gli Houston Oilers guidati dal quarterback Warren Moon e la partita si mette subito in salita.  All’Halftime, dopo due quarti, Buffalo è sotto 28-3. Nella locker room dei Bills Marv Levy prende in disparte Frank Reich per dirgli: “L’hai già fatto! Portaci alla vittoria!”.

Infatti nel terzo quarto la musica cambia e i Bills segnano 28 punti, ricucendo quasi del tutto lo svantaggio. Addirittura nel quarto periodo a tre minuti dalla fine i Bills passano in vantaggio con un touchdown realizzato proprio da Reich: 38-35. Ma per Houston c’è ancora tempo e riesce a pareggiare sul 38-38 per portare il Wild Card Game all’overtime (supplementare).

All’overtime ai Buffalo Bills basta un field goal di Steve Christie, il kicker che ha sostituito Norwood all’inizio della stagione, per completare la rimonta più larga della storia dei playoff NFL.

Cosa intendeva Levy quando ha detto a Reich “L’hai già fatto”? Frank Reich, quando giocava per Maryland University, aveva completato la rimonta più larga della storia del football universitario, battendo Miami 42-40, dopo essere andati sotto 31-0.

I Bills passano al Divisional Round che vincono agilmente contro i Pittsburgh Steelers e vincono anche contro i Miami Dolphins al Championship Game: Buffalo torna al Super Bowl per la terza volta in tre anni.

Questa volta ad aspettarli alla finalissima, che ha sede al Rose Bowl di Pasadena, ci sono i Dallas Cowboys del coach Jimmy Johnson e del trio delle meraviglie formato dal quarterback Troy Aikman, dal running back Emmitt Smith e dal wide receiver Michael Irvin.

Nel frattempo è tornato Jim Kelly, ma serve a poco: i Cowboys sono inarrestabili, segnano 52 punti e Troy Aikman viene nominato MVP del Super Bowl, alla sua prima apparizione. Invece Kelly e i Bills devono arrendersi per la terza volta consecutiva.

A discolpa dei Bills bisogna ammettere che nessuna squadra avrebbe battuto quei Dallas Cowboys, ma l’amarezza è tanta, soprattutto per la terza sconfitta consecutiva in finale.

Fa male, malissimo.

Ma da ogni caduta bisogna rialzarsi e la partita più importante è sempre quella successiva.

Fall 1993

Per favore non andateci più! Non riesco più andare al lavoro al lunedì, vengo preso in giro da colleghi e amici”. Questa la frase rivolta da un tifoso di Buffalo a Marv Levy, coach dei Bills, il quale replica “Signore, capisco il suo dolore e la sua frustrazione ma sono estremamente contento del fatto che lei non sia un giocatore dei Bills. Noi non molliamo e non molleremo mai.

L’obiettivo era chiaro: tornare al Super Bowl e cercare finalmente di vincerlo. Le premesse sono buone, l’ossatura della squadra è rimasta intatta. Infatti i Bills vincono 12 partite in regular season e terminano primi nella propria conference. Il Divisional Round si rivela più difficile del previsto e i Bills battono i Raiders 29-23 con un touchdown allo scadere lanciato da Jim Kelly.

Buffalo non ha problemi a sbarazzarsi dei Kansas City Chiefs al Championship Game, grazie a tre touchdown di Thomas, per volare ad Atlanta al Super Bowl XXVIII, alla quarta apparizione consecutiva. Per Jim Kelly si tratta di un record storico: all’epoca solo Roger Staubach, Terry Bradshaw e Joe Montana sono stati gli unici quarterback a portare la propria squadra al Super Bowl almeno quattro volte. A differenza sua loro avevano vinto.

Kelly sa che forse è l’ultima opportunità per i suoi Bills e di fronte ci sono di nuovo i Dallas Cowboys del trio delle meraviglie che li avevano distrutti l’anno precedente. Il giorno prima della partita, Jimmy Johnson, coach dei Cowboys, dichiara ai media: “È comprensibile che i Buffalo Bills siano frustrati. Hanno perso QUATTRO Super Bowl di fila.” Per tutta la stagione i Bills hanno subito prese in giro dai media e dai tifosi di altre squadre per essere capaci solo di perdere e ad Atlanta hanno finalmente la possibilità di zittire tutti.

La partita si mette bene per Buffalo: Thurman Thomas segna subito un touchdown e i Bills avrebbero altre occasioni per segnare, ma una serie di passaggi corti di Kelly per Thomas avvantaggiano la difesa di Dallas, che all’intervallo si trova sotto 13-6. I Bills hanno dominato il primo tempo, eppure sono in vantaggio di sole sette lunghezze.

Nel terzo quarto, Thomas perde il suo secondo pallone della partita e James Washington, safety di Dallas la porta in endzone per il touchdown che vale la parità. A quel punto si spegne la luce. I Bills non segnano più e vedono sfuggirsi ancora una volta il Lombardi Trophy.

La partita finisce 30-13 per i Dallas Cowboys che vincono il secondo Super Bowl consecutivo e condannano i Buffalo Bills alla quarta sconfitta alla finalissima in quattro anni.

È la quarta cascata.

Torniamo alla metafora delle cascate del Niagara perché, come vi ho detto all’inizio di questa, non tanto più breve, storia, calza a pennello con la squadra di Buffalo.

I Buffalo Bills, a cavallo tra gli anni 80 e 90, sono state una delle squadre non solo più forti di sempre, ma anche tra le più belle da vedere. Come le cascate.

L’unico loro difetto è stato che quattro volte su quattro sono cadute. Come le cascate.

“…Non c’è niente di peggio che perdere al Super Bowl…”

Articolo scritto da Matteo Orsolan

Per gli amici Orso, ama alla follia gli sport americani, finge di giocare a basket, ma guarda soprattutto il baseball e il football americano. Folgorato dal braccio di Josh Allen, dai fuoricampo di David Ortiz e dalle magie di Manu Ginobili. Soffre per i Buffalo Bills durante l'inverno e per i Boston Red Sox durante l'estate.

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