“El Chueco”, così era sopranominato Juan Manuel Fangio, il pilota argentino di origini italiane nato a Balcarce considerato ormai il maestro della Formula Uno e dell’automobilismo in generale. Una vita macinando chilometri e limiti, spesso però oltrepassandoli.
Perché “El Chueco”?
L’origine del nomignolo in realtà risale a metà degli anni ’30, quindi molto prima che iniziasse il mondiale di Formula Uno, era chiamato così dagli amici per il modo in cui correva sulla fascia destra in campo, quasi come se avesse le gambe inarcate, in spagnolo è usato proprio ironicamente in qualità di “gambe storte”. Juan Manuel Fangio infatti, seppur molti ne siano ignari, ha avuto un periodo da calciatore, nella selección Balcarcera.
El Chueco si può applicare però all’attitudine in generale di Juan Manuel Fangio, assumendo un significato molto più forte e meno letterale proprio con l’inizio della carriera motoristica, sin dalle gare di gran turismo a fine anni ’30 e a cavallo tra il secondo conflitto mondiale, girando l’America Latina in lungo e in largo. Nel 1948 prese parte alla Vuelta a la América del Sur, con ben quattordici tappe che andavano da Buenos Aires a Caracas in tre settimane.
Arrivati in Perù purtroppo Fangio perde un suo caro amico e copilota, Daniel Urrutia, dopo un incidente molto grave con altri due partecipanti, i fratelli Gálvez, avvenuto nella tratta Lima-Tumbes. Il primo di diversi incidenti spaventosi che ha vissuto l’argentino. Nonostante il dolore per la perdita di un caro amico, dall’ospedale Fangio decise di continuare la competizione e soprattutto lanciò il messaggio a tutti i piloti di non fermarsi semmai avessero pensato di farlo, in special modo ai colleghi coinvolti, i quali volevano lasciare la competizione. El Chueco, quindi, si potrebbe dire proprio perché non esiste curva dritta e Fangio non si è mai lasciato condizionare dalle avversità e dalle tragedie del mondo di cui faceva parte.
Il Campione più completo della Formula Uno
Juan Manuel Fangio è stato Campione di Formula Uno ben cinque volte, con quattro scuderie diverse. Trasferitosi in Europa nel 1948 prese parte al suo primo Gran Premio europeo a Reims, l’anno dopo conquistò ben sei vittorie tra cui: Sanremo, Pau e Marsiglia, prendendo parte a gare anche di Formula 2, la consacrazione avvenne però a Monza, dove vinse a bordo di una Ferrari dopo un guasto di Ascari. Il cambio di scuderie non va letto come vincere facile, anzi, tutt’altro. Premettendo che la Formula Uno fosse totalmente diversa da come la conosciamo oggi, i contratti non erano così duraturi, al massimo biennali, quindi il passaggio da una scuderia ad un’altra in poco tempo era normale per tutti.
Soprattutto Fangio era sì pilota, ma in primis grande conoscitore della meccanica, quasi da autodidatta e chiedeva ai team di avere, infatti, voce in capitolo sulle vetture, lavorando in prima persona con il gruppo di meccanici. Certo, questo era possibile rispetto ad oggi perché ogni pilota aveva a disposizione circa quattro meccanici personali, nulla in confronto alle innumerevoli figure che troviamo oggi nel garage attorno a un pilota. Fangio aveva il fiuto per le auto migliori in griglia, sapendo di poterci mettere mano, il team col quale era più affiatato resta sicuramente Maserati, dove in parte ha vinto il secondo mondiale e col suo ritorno nel 1957 ha vinto poi anche l’ultimo.
L’unico team col quale invece non è andata a buon fine è stato Ferrari nel 1956, proprio per la poca comprensione e propensione alla collaborazione da parte loro, ciò nonostante, Fangio sull’orlo della rescissione del contratto decise da vero Chueco di finire la stagione, vincendo addirittura il mondiale.
Fangio anche in pista si avvaleva della sua capacità da meccanico per sfruttare al meglio la vettura, facendo sempre la differenza e in più, vincere cinque mondiali con quattro scuderie diverse, applicando le proprie conoscenze a un’auto già di base buona, richiede anche spirito di adattamento a condizioni tecniche e di lavoro del tutto nuove.
Gran Premio d’Argentina ‘55
Lo scenario era il seguente: seconda stagione con la scuderia delle frecce d’argento, la Mercedes, Buenos Aires, 16 Gennaio, quindi estate argentina dal caldo torrido con 55 gradi d’asfalto. Per le alte temperature e lo sforzo fisico, la gara prende una piega abbastanza imprevedibile e inaspettata, molti piloti si ritirano stremati e altri si danno il cambio ogni tot giri per continuare la competizione anche in qualità di team, evitando il ritiro.
Fangio parte dalla terza casella dietro José Froilán González, in pole, e Alberto Ascari, i tre nei primi dieci giri si contendono il comando, con Fangio in testa fino all’undicesimo giro, quando José Froilán González lo supera, seguito da Ascari, El Chueco è a 1 minuto. Ascari riprende però il comando dopo 20 giri con un distacco abbastanza importante, fino a quando non esce fuori pista costretto al ritiro, Fangio nell’ultima parte di gara riprende il primo posto e recupera anche un distacco ragionevole dal secondo posto, vincendo con un minuto circa di vantaggio su González.
Un Gran Premio avvincente, sfiancante e per questo glorioso con un podio composto da Mercedes e Ferrari, un giorno memorabile per la Repubblica d’Argentina che vede un connazionale conquistare la pole, un altro sul gradino più alto del podio e un altro ancora in seconda posizione, ma soprattutto anche gli unici due piloti che non sono mai stati rimpiazzati e che hanno sempre guidato per tutti i giri, sono argentini, Fangio e Mieres.
Il Gran Premio d’Argentina è una delle gare più belle di Juan Manuel Fangio, per come si è svolto e per come si è concluso rappresenta benissimo l’attitudine vincente e inarrestabile del pilota, ma soprattutto disputatosi in patria, rappresenta il legame non solo nazionale ma anche sportivo di Fangio, che iniziò la sua carriera motoristica proprio nel continente latinoamericano, confrontandosi lì con le prime insidie e tragedie dalle quali ha imparato a essere il maestro della Formula Uno.