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Campioni del Mondo. Divisi ma Uniti

Rigori, apnea, Grosso, un Urlo lungo 14 anni.

L’Italia del Calcio è Campione del Mondo. Anzi no, L’Italia è Campione del Mondo.

L’Italia è uno dei paesi al mondo con più entità socio-culturali nonostante sia un paese piccolo, di soli 60 milioni di abitanti. Diversità che arricchiscono e dividono, identità che garantiscono valore aggiunto ma che spesso limitano. E questo scenario, seppur sommario, non ha mai consentito all’Italia di fare sistema. Perché ciò che per secoli è stato tenuto diviso deve avere tempo, secoli, per sentirsi unito ed orgoglioso.

Ma un’eccezione esiste e 14 anni fa ne abbiamo avuto un riscontro ciclico.

Il Calcio, la Nazionale Italiana.

Perché il Calcio nella sua espressione massima, attraverso i Campionati del Mondo, riesce ad unire ciò che la quotidianità divide. Non è solo un appuntamento sportivo atteso 4 anni che mediaticamente invade le case di ognuno di noi, ma è la guerra da combattere e sperare di vincere, è la nuova frontiera del confronto estivo che fa stringere tutti e che li rende comunque fieri di appartenere a qualcosa.

E più la strada è difficile, più lo scenario sembra avverso, più tutti potenzialmente sono contro di Noi, più riusciamo ad esprimere il meglio di tutte le nostre qualità. Ma la cosa stupefacente è come riusciamo a farlo insieme.

Già insieme. Una parola sfruttata pochissimo dall’italiano nella normalità, usata in modo speciale nell’emergenza e con la Nazionale di Calcio.

E tutto questo ha un non so che di romantico e risorgimentale, l’idea che si fa sostanza e che è guidata dalla passione, la difficoltà che scatena la vittoria e la necessità di fare rumore nelle battaglie, un’inno di indipendenza che viene sventolato, difeso ed urlato.

E ancora oggi sentiamo l’eco di quell’urlo. Di quel 9 luglio 2006. Di una vittoria arrivata non solo in una terra straniera ma in quella Germania che descritta da Lineker come colei alla quale alla fine la vittoria spetta sempre.

E quella vittoria arrivò carica di delusioni e di aspettative, di risentimenti e di dubbi, arrivò dopo la scossa di Calciopoli. Eravamo frastornati, disillusi, come sempre divisi.

E gli altri colsero l’occasione per ricordarcelo, per provare ad allargare la voragine, ci descrissero come i fondatori delle associazioni a delinquere come qualità principale di un popolo che non riusciva ad essere tale. Questo ci strinse, ci creò quel fastidio che serve per guardarsi in faccia e alzarsi dalla sedia chiudendo gli occhi, scuotendo la testa e alzando la mano.

“Ora Parliamo Noi.”

E lo fecero tutti, di tutti i colori, di tutte le specie, di tutti campanili e di tutte le bandiere.

L’orgoglio, seppur per poco, seppur in modo effimero, riempì il petto di milioni di persone che con quel urlo si sentirono magicamente, miracolosamente, ciclicamente italiane.

Articolo scritto da Matteo Schiavone

Maturità scientifica, centrocampista non sufficientemente abile per fare il professionista con continuità, laureato in Scienze Motorie e specializzato in Management dello sport, Allenatore di Calcio e Calcio a 5 (Futsal ci piace di più) dal 2007, appassionato di Storia, Musica e Cinema con scarse attitudini allo studio ma spiccate inclinazioni alla curiosità.

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